Che fine ha fatto la SNAI?
LE AREE INTERNE FRA CRESCITA POSSIBILE E RETORICA DEI BORGHI.
20 punti per riaprire la discussione
- Le “aree interne” rappresentano quasi i tre quarti del territorio italiano e sono abitate da circa 13 milioni di persone, il 22% della popolazione. Sono definite in ragione della loro lontananza dai poli di erogazione dei servizi fondamentali: l’istruzione, la sanità, la mobilità. Vanno progressivamente spopolandosi e soffrono di gravi carenze di lavoro. Si caratterizzano per scarsità di infrastrutture materiali e immateriali e sono interessate da un progressivo processo di dissesto idrogeologico, per lo più indotto dall’abbandono. Attraggono pochi turisti e si “accendono”, economicamente e socialmente, solo per tre mesi all’anno, se va bene.
- Tuttavia, sono anche una riserva fondamentale di fonti energetiche primarie, di acqua, di vento, di biodiversità; grazie a queste risorse forniscono servizi ecosistemici essenziali alle città. Custodiscono inoltre un accumulo di beni archeologici e paesaggistici, di culture, di saperi sedimentati, di saper fare, di senso di comunità, essenziali per affrontare il cambio di paradigma che ci impone la doppia transizione ecologica e digitale in atto.
- Una Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI) è nata ufficialmente nel 2012 e opera dal 2014 (Accordo di Partenariato UE 2014-2020) nella forma di “sperimentazione”, con l’obiettivo esplicito di “curvare” alle esigenze di questi territori le principali politiche pubbliche del Paese: la scuola, i trasporti, la sanità. Non più trasferimenti monetari per compensare ritardi e carenze, decisi e distribuiti dal centro, magari scambiati con voti. Stop all’assistenzialismo e maggiore riconoscimento di potere e autonomia, nell’allocazione della spesa pubblica, ai cittadini che vivono nelle aree interne ed alle amministrazioni locali che li rappresentano, nel quadro della governance multi-livello prevista dalla Costituzione.
- Uno dei tratti originali della SNAI affermava che serve a poco in queste aree concedere incentivi al lavoro o alle imprese, all’agricoltura o all’artigianato come al turismo, se non si rimuovono gli ostacoli, attraverso mirate politiche pubbliche, che impediscono il pieno godimento dei diritti di cittadinanza delle persone che ci abitano, garantendo loro le infrastrutture e i fondamentali dei servizi di base. Un richiamo esplicito all’art. 3 della Costituzione.
- Altre innovazioni della SNAI hanno riguardato:
- la necessità di svolgere un’istruttoria pubblica, aperta e inclusiva, per individuare i territori su cui indirizzare investimenti pubblici;
- la collocazione dei Comuni al centro della decisione pubblica, ma a patto che agiscano in aggregazione;
- la produzione di dati socio-economici granulari per mappare i territori perché è fondamentale conoscere per decidere, un aureo principio riabilitato dal metodo SNAI;
- l’apertura a centri di competenza nazionale per un confronto costante per definire strategie e piani di intervento.
- Con l’avvio della SNAI, inoltre, ci si propose di accantonare il concetto di progetto “cantierabile” considerato come unità di base della programmazione, ma in realtà usbergo di rendite parassitarie e\o visioni localistiche datate, per valorizzare la fase di costruzione di strategie d’area come cornice dentro cui collocare una nuova progettualità integrata territoriale.
- Relativamente a tali 72 aree individuate per la sperimentazione, a dicembre 2021 erano stati sottoscritti tutti gli atti esecutivi delle strategie d’area sotto forma di Accordi di Programma Quadro, per una dotazione finanziaria complessiva pari a 142,12 milioni di euro.
- La SNAI è stata confermata come una delle strategie territoriali nel nuovo Accordo di Partenariato 2021-2027. Il processo di individuazione delle nuove aree interne è stato definito dalla collaborazione tra le Regioni, il Dipartimento per le Politiche di Coesione e il NUVAP, e si è concluso a settembre 2022. Il livello locale (i Sindaci) non risulta coinvolto nel processo. Oltre alle 43 nuove aree finanziate con risorse nazionali e regionali, saranno attivate ulteriori 13 aree individuate dalle Regioni che beneficeranno di sole risorse dei Programmi europei. Le regioni inoltre continueranno a finanziare 67 delle 72 aree del ciclo di programmazione 2014-2020. Infine, è stato attivavo un Progetto Speciale “Isole Minori”.
- Dal punto di vista delle risorse finanziarie, per il nuovo ciclo, lo Stato italiano ha assicurato un investimento di 310 milioni di euro (a valere del Fondo di rotazione ex legge 187\1987 e del Fondo Sviluppo e Coesione.
- Significative risorse sono state stanziate nell’ambito di misure cosiddette “complementari” alla SNAI:
- DPCM 24 settembre 2020 – Fondo di sostegno alle attività economiche e commerciali (2020-2022), 210 milioni di euro, 3.101 Comuni interessati.
- DPCM 30 settembre 2021 – Fondo sostegno ai comuni marginali, 180 milioni di euro, 1.187 Comuni interessati (95% al Sud)
- DL n°120\2021 conv. L. n°155\2021 – Misure di contrasto agli incendi boschivi, 60 milioni di euro, Comuni SNAI
- Con il decreto-legge n. 34/2020 (art. 243), è stato inoltre previsto lo specifico stanziamento pari a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, da destinare al finanziamento di borse di studio per dottorati nei Comuni delle aree interne, anche in forma associata.
- Altre risorse, distribuite a bando o con decisioni di riparto amministrativo, stanno affluendo nelle aree interne con il PNRR ed il PC.
- Potenziamento dei servizi e delle infrastrutture sociali di comunità – M5C3 Investimento 1.1 – 725 milioni di euro
- Servizi sanitari di prossimità – M5C3 Investimento 1.2 – 100 milioni di euro
- Miglioramento dell’accessibilità e della sicurezza delle strade nei Comuni SNAI, 350 milioni di euro
- Nessuno sa con certezza cosa sia successo nelle aree in cui si è intervenuti con la “sperimentazione” 2014-2020. L’ultima relazione del Governo al Parlamento risale al 2020. In mezzo, la pandemia. I tassi di avanzamento finanziario della spesa risultano allineati alla media dei programmi operativi delle Regioni (fonte opencoesione). Il sospetto è che su quei territori siano successe però molte più cose di quante ne raccontino l’avanzamento finanziario dei progetti attivati. Occorrerebbe impegnarsi in un monitoraggio “a terra” per realizzare una valutazione multicriteri in grado di cogliere l’effettivo avanzamento della policy. Come succede in Europa. Non risulta che alcuno lo stia facendo.
- La politica sembra tornare a guardare altrove: è passato il tempo del “riconoscimento” delle specificità locali e del paziente lavoro di costruzione di strategie locali e interventi (integrati) disegnati su misura per i singoli territori; con i soggetti del territorio, strategicamente orientati, che si organizzano e progettano ed il centro che indirizza, coordina e controlla. Come detto, si passa ai bandi competitivi che distribuiscono soldi a chi è più forte (o più furbo) ad assecondare le richieste delle specifiche tecniche dei capitolati. O ai riparti amministrativi per distribuire un po’ a tutti e per non scontentare nessuno. Intermediazioni e rendite possono rialzare la testa!
- Il pensiero del policy maker corre di nuovo verso i ceti urbani, ricchi, cosmopoliti, intrappolati nelle “isole di calore” e nel turistificio delle ZTL. La chiusura del divario fra territori pieni e vuoti non è più un problema. Lo spopolamento delle aree interne è considerato una fatalità. Quello che c’è fuori dalle città è visto solo con lo sguardo di chi deve passare un week end di riposo dagli sforzi della produzione e cerca luoghi ameni di svago. È la retorica (e l’ideologia) dei borghi, le eccellenze dove tutto è rose e fiori. Una retorica che sta nella testa di chi scrive i bandi ma che, in realtà, crea rabbia, scontento e voto di protesta perché le persone vere che vivono nei “borghi” subiscono il deterioramento delle condizioni di vita e fanno fatica ad andare avanti.
- Non sembra che questo ritorno all’antico, al vecchio modo di agire politico, stia portando fortuna alle aree interne. I tassi di spopolamento non vengono invertiti, le persone continuano ad andare via. I servizi e le infrastrutture si degradano. Naturalmente, non è dappertutto così. In giro per le aree interne c’è fermento. Lo dicono tante ricerche prodotte da centri di ricerca e università. Inoltre, basta guardare alle tante associazioni, fondazioni e strutture di terzo settore attive in quei territori.
- In realtà continuerebbe ad esserci un’alternativa. Si tratta di strutturare una nuova relazione città- aree interne improntata al rispetto delle funzioni di ciascuna parte. Questa prospettiva dovrebbe favorire:
- lo sviluppo di una più forte collaborazione per vincere le sfide comuni del cambiamento climatico e tecnologico;
- la promozione di uno scambio equo fra urbano e rurale nel riconoscimento di servizi ecosistemici, al fine di coniugare giustizia sociale e giustizia ambientale;
- la costruzione di pacchetti integrati di offerta per attrarre nuovi cittadini (o ritornanti) e turisti, in chiave locale ma guardando alle missioni\linee di sviluppo che si dà l’intero sistema Paese.
- Non ci sarà un principe illuminato che concederà questa nuova costituzione materiale. Occorrerà svilupparla nel confronto, staremmo per dire nel conflitto politico, anche aspro se serve ma consapevole e rispettoso delle regole della democrazia. Le scorciatoie populiste o ribelliste non serviranno, come non saranno utili voto di protesta o l’astensione arrabbiata.
- Per chi vive nelle aree interne il peggior pericolo è la chiusura in sé stessi. I limiti del campanilismo ce li ha raccontati benissimo Franco Arminio, cantore dei paesi. Se si chiudono in sé stessi i paesi diventano uno stagno, in cui si auto-alimentano sentimenti negativi come l’invidia, lo scetticismo, il disfattismo, la rassegnazione. Ormai è mitica la figura, evocata dal poeta, dello scoraggiatore militante, appostato all’angolo della piazza o appoggiato al bancone dell’unico bar di paese, solerte solo a stroncare nella culla ogni nuova iniziativa con una semplice alzata di sopracciglia. Un Cassazione inappellabile.
- I paesi, invece, devono farsi “ruscelli”, aprirsi all’esterno, far scorrere e ricambiare l’acqua. Proporsi come luoghi di incontro, dove miscelare saper fare locali e correnti di pensiero esterni. In un circolo dinamico di scambio. Questa è la precondizione per il loro sviluppo. Non è semplice. Servono tante cose, lo sappiamo. Da classi dirigenti locali, inclusive e aperte ai cambiamenti, a politiche nazionali coerenti e durature. Ma, intanto, avere consapevolezza che questo è quello che più di tutto serve, non è poco!
- Cosa resta della SNAI dopo più di due lustri di vita di questa politica territoriale? Servirebbe che il dibattito pubblico si ri-accendesse su questa domanda. Essa merita certamente una risposta articolata. Dal punto di vista istituzionale, per il nuovo ciclo di programmazione 2021-2027, in attuazione del decreto- legge n. 77 del 31 maggio 2021 (art.58), si è stabilita una nuova governance mediante la Delibera CIPESS 41/2022. In ultimo, un recente DL SUD ha ancora radicalmente innovato la governance della SNAI, istituendo una Cabina di regia ministeriale e prevedendo l’adozione di un Piano strategico nazionale sulle aree interne. Il DL è in discussione alle Camere per la conversione in legge.
Francesco Monaco