Rocco Petrone. Dall’Appennino alla luna
Qualche mese prima del lancio di Apollo 11, la missione spaziale che avrebbe portato i primi uomini sulla Luna, la Nasa organizzò un tour di giornalisti nei principali siti della grande avventura. Giunti in Florida, a Cape Kennedy, dove oltre ventimila ingegneri e tecnici erano al lavoro per la costruzione dell’enorme razzo Saturn V e della navicella spaziale, gli inviati dei giornali e della televisione italiana restarono molto sorpresi nel leggere, nel breve elenco dei top manager della missione, l’ìtalianissimo nome di Rocco Petrone, il direttore di tutte le operazioni di lancio.
Incuriositi, chiesero di incontrarlo, e si trovarono di fronte un omone di un metro e novanta per un quintale di peso, con il fisico da giocatore di football, la faccia squadrata e gli occhi sottili ed espressivi da autentico figlio di contadini del sud. Piero Angela racconta che Petrone tolse subito ogni dubbio ai curiosi cronisti: «Si, sono italiano, e vengo dal paese di Sasso di Castalda, in mezzo alle montagne della provincia di Potenza!».
Sasso di Castalda. Un nome sconosciuto anche ai giornalisti italiani, tranne forse all’inviato del Corriere della Sera, Pino Josca, che aveva una certa idea di quelle montagne, essendo nato e cresciuto a Rionero in Vulture. E che dopo il successo della missione affidò alle colonne del principale giornale italiano un magistrale reportage di viaggio nella terra di origine di Petrone, questo piccolo paese di montagna «aggrappato a uno scoglio aspro che tocca i mille metri e che ricorda il Pan di Zucchero di Rio de Janeiro».
La straordinaria avventura che avrebbe portato il figlio di due migranti a diventare uno dei principali protagonisti di una delle imprese più grandi della storia dell’umanità cominciò da Sasso di Castalda giusto cento anni fa, nel1921. Nel mese di febbraio di quell’anno Antonio Petrone e Teresa De Luca lasciarono il paese per tentare la fortuna in America, come tanti contadini poveri del mezzogiorno. Arrivarono dall’altra parte dell’Oceano poche settimane prima dell’entrata in vigore del Quote Act, la prima grande legge anti-immigrazione con la quale gli Usa, per usare un linguaggio oggi a noi familiare, “chiusero i porti” ai migranti, in particolar modo a quelli provenienti dal sud Italia. Il fatto che i Petrone riuscirono ad evitare i rigori di questa legge fu una fortuna per loro, ma ancor di più per l’America.
Rocco, nato nel 1926, ultimo di tre fratelli, restò orfano a sei mesi per la morte del padre in un drammatico incidente ferroviario. Forte nel fisico e vivace nell’intelligenza, non si sottrasse a una vita di sacrifici. Già da ragazzino si pagò gli studi lavorando, e si fece notare a scuola al punto da essere ammesso all’accademia di West Point: lui, con quel nome italiano, nel1943, quando l’America era in guerra con l’Italia. Da quel momento la sua carriera spiccò il volo: la laurea in ingegneria al prestigioso Mit di Boston, il primo impiego in un centro per le ricerche missilistiche in Alabama, l’incontro con Wernher Von Braun, il principale ispiratore dei progetti spaziali americani.
In pochi anni divenne uno dei personaggi cardine della grande corsa voluta da Kennedy per la conquista della Luna, fino a farsi trovare dalla delegazione dei giornalisti italiani in visita al centro spaziale nel più prestigioso posto di comando della missione.
La storia di Rocco Petrone non è solo la storia del sogno americano realizzato da una famiglia di migranti: è una storia di coraggio, di accoglienza, di integrazione, di talento, di visione del futuro, che ancora oggi ha tanto da insegnarci. Anche se viviamo in un’epoca che ci appare sempre più impermeabile ai sogni e alla voglia di avventura.