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Civiltà Appennino

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Tra l’alba che non arriva e l’erba che più non trema

Di Nunzio Festa


La Basilicata a cento anni dalla nascita di Rocco Scotellaro nell’ultimo libro di Michele Finizio

 

La sensazione è che il presente possa diventare troppo futuro. Ma questo è un rischio da scongiurare, a leggere l’ultimo libro di Michele Finizio, sociologo e giornalista; volume, questo “Rocco Scotellaro. Tra l’alba che non arriva e l’erba che non trema”, costruito quale ragionamento successivo, e chiaramente anche contestuale, all’attività pubblicistica di Finizio. Che con Basilicata24 per fortuna assicura un impegno di giornalismo d’indagine e approfondimento fra le eccezioni da evidenziare. Non a caso, infatti, in sede di prefazione proprio della prof. Del Puente – ma già nella piccola premessa vergata dall’autore stesso del breve saggio – si fa cenno, un cenno certamente segnato da indignazione, – alla questione della “linea di finanziamento” regionale che la Regione Basilicata interruppe e che era necessaria al mantenimento in vita delle attività del Centro Internazionale di Dialettologia lucano. E già nei giorni dell’esecrabile decisione, avevamo avuto l’opportunità di ascoltare la mortificazione e la costernazione garantite dalla docente di glottologia e linguistica presso l’Università della Basilicata.

“C’è stata un’evacuazione programmata dei valori dai loro luoghi naturali. Lo spopolamento di questi anni è anche spopolamento di ricchezze e di valori”. Questi due assiomi concatenati, conseguenze e cause uno dell’altro, sono fra le formule più felici coniate da Michele Finizio negli articoli qui raccolti. Che cominciano con l’aggiornamento di uno dei discorsi scritti maggiormente rappresentativi del pensiero pasoliniano, dove il tema generale era e rimane l’infaticabile disfunzione razionale fra “sviluppo” e “progresso”, e che procedono con la condivisione di uno degli ultimi ‘pensieri’ di Cacciari e terminano nella costatazione finale della realtà basilisca portata all’arretramento; non a caso, proprio di recente, l’attuale e arcinoto sindaco di Lauria si è vantato di essere riuscito finalmente ad adottare anche il Basilicata la soluzione delle “case a un euro”. Ovvero la proposta di donazione al mercato e dunque ai privati delle abitazioni dei paesi inventata, non a caso, da Sgarbi; la formula, va detto per inciso, piace a molte e molti. Ché è anche l’alternativa più semplice alla proposta politica di ridare vita vera e reale a questi paesi.

Negli intervalli, quali intermezzi accorati e civili, Finizio si rivolge direttamente a Rocco Scotellaro, la figura che simbolicamente e fatalmente vorrebbe fosse riconsiderata: “I lavoratori occupati nelle estrazioni e nell’indotto, così come nelle miniere e nelle acciaierie, in questo sistema di dominio seducente, sono costretti ad essere sfruttati (soprattutto in termini di salute), perché la cosa peggiore che gli possa capitare è non essere sfruttati, cioè non avere un lavoro. A Taranto, nel quartiere Tamburi, qui in Basilicata nella Valle del Sauro e nella Val d’Agri, nelle campagne del Sud, è questa la condizione vissuta dai nuovi subalterni”.

Riprese alcune valutazioni di Rossi Doria e Teti, poi, l’autore fa un po’ di nostalgia al tempo della letteratura, quando riprende in mano “L’uva puttanella” e lo spaesamento delle figure con lirismo e rispetto riportati nel nostro presente, in questo presente che se, così com’è, diventasse futuro, a Scotellaro di certo per niente piacerebbe.

Ed i braccianti sfruttati ci sono ancora. Quelli ricordati dagli scritti del compianto Leogrande, polacchi per esempio, oppure gli africani. Ed in questo caso è serio ricordare l’esperienza di NoCap, che ha tolto decine di migranti dallo sfruttamento del caporalato.

Insomma il libro di Michele Finizio è una provocazione. Perché è “oggi necessario ‘liberare’ Scotellaro dalle stanze chiuse della critica letteraria che parla a se stessa e intorno alle proprie dissertazioni”.

Da questo punto in avanti, in buona sostanza, ci sono solamente e soltanto soluzioni da affrontare, valutare. In una Baslicata forata dalla crisi che la sconvolge da decenni come coinvolge il resto delle regioni del Mezzogiorno, esiste un vero programma di rinascita che da più parti è ipotizzato quale nuovo modello da costruire; approfittando della stessa polemica di Finizio, è doveroso partire da un dubbio, da un interrogativo, al fine di immaginare un presente che si compia davvero in un riscatto di futuro: i paesi possono essere davvero i luoghi dove rivivere oppure sotto l’Appennino deve essere costretto a rinnegare la sua idea di “civiltà”?

Per fortuna, anzi per generosa devozione alla causa, su questo spazio, oramai da anni, dentro e fuori le idee stesse di Civiltà Appennino e la stessa ricerca espressa qui e altrove, sono gli elementi stessi dello studio buoni a farci rispondere come solo nei paesi sono conservati gli elementi utili alla vita dei paesi.

Nella natura e nelle opere d’arte, nella resistenza della Storia e nei creazioni di una modernità da intendere quale continua scoperta e meraviglia, siamo destinati a darci un futuro migliore.

Nel bel mezzo della lentezza, nelle canzoni di colline e accenni di montagna, verso il destino dei mari che qui condussero greci e albanesi, per esempio, sotto la cintona della Campania, da un paese all’altro, da un dialetto all’altro, è ipotizzabile la rivincita dei piccoli centri, dei luoghi in sedicesimi ma alimentati da bracieri dove regge la ‘restanza’.

Nunzio Festa
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