“Il lavoro altrove”. Quando “l’altrove” sono le aree interne
Un aticolo di Corazza e Aloisi sulla Rivista il Mulino.
La pandemia ha cambiato la società, in particolare a riguardo dell’approccio al lavoro, di un nuovo modo di concepire il proprio futuro e ci siamo abituati a sperimentare nuove forme grazie all’impiego di tecnologie che hanno consentito di lavorare dappertutto. Ecco, questa dovrebbe essere l’eredità positiva che la pandemia ci lascia o è già cominciata l’era delle “rimozioni” e del ritorno alla “vecchia normalità”. Cioè, in sostanza, da questa “rivoluzione” ne può ancora derivare un reale vantaggio per le aree interne, affinché in esse si possano porre le basi per un’economia più strutturata, puntando principalmente sulla potenzialità di offrire luoghi stabili di permanenza lavorativa. Che il lavoro da remoto oggi potrebbe garantire.
Ne parlano approfonditamente Luisa Corazza e Antonio Aloisi su la Rivista di cultura e politica il Mulino, che intendiamo sottolineare anche in virtù di una costante collaborazione di Luisa Corazza con Civiltà Appennino, trattando temi di comune interesse definiti da un protocollo d’intesa siglato da poco tra Fondazione Appennino ed il centro ARIA dell’Università del Molise, che dirige.
“Occorrono nuove idee per favorire l’equilibrio tra vita e lavoro, ridurre le disuguaglianze e contribuire all’innovazione dei modelli organizzativi: urge un dibattito non ideologico sul lavoro da remoto”, si apre così l’articolo “Remoto, interno, liberato: il lavoro altrove”, di cui proponiamo la lettura.
Foto copertina rielaborazione Civiltà Appennino da Piuxabay e foto Moore Comunication.