Dinamiche paesaggistiche nell’Appennino abruzzese
di Annalisa Colecchia
Il territorio abruzzese si caratterizza per una notevole geodiversità che, determinata dalle molteplici formazioni geologiche e dalle relative morfologie, si esprime in paesaggi articolati, relazionabili alle varie forme di antropizzazione succedutesi nel lungo periodo. Questa forte impronta naturalistica, l’alta percentuale di spazi montani (circa il 65% del territorio regionale) e il ricco patrimonio faunistico e vegetale hanno determinato l’istituzione di parchi e riserve che operano in sinergia con enti preposti alla tutela, poli universitari, cooperative e associazioni culturali locali per promuovere ricerche e incentivare un turismo di qualità.
Nel contesto di un approccio globale e multidisciplinare sono stati avviati progetti intesi a valorizzare la dimensione storico-archeologica e paleoambientale e sono stati realizzati ecomusei tematici, legati a evidenze strutturali ed a siti archeologici. Ne è un esempio l’Ecomuseo della Valle Giumentina che sorge in corrispondenza di un giacimento del paleolitico. Il sito, un antico bacino lacustre già parzialmente rilevato negli anni ’50, è oggetto di indagini archeologiche intraprese nel 2012 dall’École Française de Rome in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo e con il supporto del Parco Nazionale della Maiella.
Inserito dall’aprile 2021 nel Global Geopark Network UNESCO, il Parco della Maiella presenta “coralità paesaggistiche” che si prestano alla costruzione di una rete di itinerari rappresentativi dell’identità culturale del territorio: l’esperienza monastica e l’eremitismo rupestre, l’artigianato e la proto-industriale, la silvicoltura e lo sfruttamento dell’incolto, l’agricoltura e l’allevamento. La pratica della pastorizia risale al neolitico, continua nei secoli successivi e si esplica sia come transumanza orizzontale a lungo raggio sia come transumanza verticale o monticazione. Numerosi sono gli indicatori materiali: stazzi e recinti, complessi agro-pastorali, capanne a tholos, muretti di terrazzamento, grotte e ripari sottoroccia (figg. 1, 2).
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La dorsale centro-appenninica era percorsa da un reticolo di sentieri, tratturi e strade, come la Via degli Abruzzi che metteva in comunicazione Napoli e Firenze e attraversava le aree interne dell’Abruzzo e del Molise; altrettanto capillare era il sistema di bracci e tratturi che confluivano nelle direttrici Abruzzo-Puglia. Pratiche agricole stagionali erano realizzate in spazi ridotti, nelle conche prossime ai pascoli d’altura e lungo i pendii terrazzati.
Le forme di gestione comunitaria rivestivano un’importante funzione di supporto sociale e permettevano di conciliare pastorizia e agricoltura e di combinarle con altre attività quali la silvicoltura e l’uso delle risorse boschive spontanee. Sono documentati i sistemi a campi aperti, le cui tracce sussistono ancora in alcune zone della Maiella e soprattutto del Gran Sasso aquilano (fig. 3), e le difese, ossia pascoli alberati gravati da diritti di uso civico e riconoscibili per la potatura a capitozza e per il diradamento degli alberi in corrispondenza delle radure (fig. 4). Significativi sono il recupero delle forme tradizionali di allevamento brado e il coinvolgimento delle comunità nella coltivazione e nella commercializzazione delle antiche cultivar autoctone.
Nei bacini idrografici dei fiumi Lavino, Orfento e Orta, caratterizzati da giacimenti di bitume, i paesaggi agropastorali si intersecano con quelli minerari. Gli affioramenti, già individuati nel neolitico, sono stati ampiamente utilizzati in età romana e sfruttati industrialmente a partire dalla metà del XIX secolo. Interessante per l’aspetto della continuità è il sito di Acquafredda occupato da un’estesa miniera a cielo aperto: l’area produttiva, sfruttata fino alla metà del secolo scorso, è oggi coperta da vegetazione spontanea, da strati di crollo e da tracce di frequentazione pastorale contemporanea o successiva alla dismissione delle miniere (fig.5).
L’indagine autoptica, calibrata sull’andamento dei sentieri e indirizzata dallo studio toponomastico e archivistico, ha permesso l’individuazione e il posizionamento tramite GPS di numerosi imbocchi. Alla ricerca, condotta dalle istituzioni preposte, si affianca la sistematica attività dei volontari del GRAIM (Gruppo di Ricerca di Archeologia Industriale della Majella) che associano l’esplorazione sul campo alla divulgazione delle proprie esperienze attraverso l’organizzazione di workshop e l’uso dei social network. Il tutto nell’ottica di una progettazione partecipata. E’ in via di realizzazione il progetto di un parco minerario articolato in miniere aperte al pubblico, musei, un centro di documentazione per la conservazione dei reperti, dei materiali di archivio e del patrimonio immateriale costituito dai ricordi e dalle testimonianze dei minatori locali.
La dinamicità e le continue trasformazioni del territorio vissuto impongono sia il superamento della concezione di paesaggio fossile sia la necessità di rinsaldare le relazioni fra gli abitanti-produttori e i luoghi che costituiscono un capitale sociale da conoscere e da valorizzare.
Bibliografia e sitografia essenziale AGNOLETTI M. (ed.), Italian Historical Rural Landscapes. Cultural Values for the Environment and Rural Development, London / New York, pp. 403-418. BROGIOLO, G.P., COLECCHIA, A. 2017, Tra archeologia della complessità e archeologia dei paesaggi, «Scienze Del Territorio» 5, pp.87-92. COLECCHIA A. 2019, Community heritage and heritage community. Participatory models of cultural and natural heritage management in some inner areas of the Abruzzo region, «Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage», 9 / 2019, pp. 125-160. COLECCHIA A., AGOSTINI S. 2014, Economie marginali e paesaggi storici nella Maiella settentrionale (Abruzzo, Italia), «Post-Classical Archaeologies» 4, pp. 219-258. <http://www.parcomajella.it> <http://www.gransassolagapark.it>
Didascalie figure Fig. 1. Panoramica del versante a nord-ovest di Colle Civita (ortofoto 2010). Si notano, accanto alle strutture pastorali, i residui di paesaggi agrari (cumuli di spietramento, muri in pietra a secco, capanne). Fig. 2. Complesso agro-pastorale di Colle Civita, in comune di Roccamorice. Fig. 3. Campi aperti di depressione irrigua che circondano l’abitato di S. Stefano di Sessanio (foto prof. Iacopo Calci). Fig. 4. Bosco di Sant’Antonio (Pescocostanzo). Esempio di capitozzatura, potatura praticata a circa 2 metri di altezza per approvvigionare di frasche ed essenze legnose il bestiame e per assicurare ombra agli animali evitando danni ai ricacci. Fig. 5. Distretto minerario di Acquafredda. Uno degli ambienti ricavati nel fronte di cava e riutilizzati come riparo pastorale dopo la dismissione della miniera.