Le persone e lo spazio. Densità demografica e sviluppo sostenibile
Una delle novità che presenta il rapporto ASviS 2021 “Gli obiettivi di sviluppo sostenibile e i territori” è un’analisi basata sulla classificazione DEGURBA di EUROSTAT.
Premetto che pur avendo contribuito ad elaborare e scrivere la parte del rapporto relativa alle “Politiche per il Sud” non avverto un “conflitto culturale” con l’impostazione che come Fondazione Appennino ci siamo dati e che potremmo sintetizzare nel titolo del nostro primo libro: Civiltà Appennino. L’Italia in verticale tra identità e rappresentazioni (Donzelli, 2020).
E aver contribuito nel Rapporto a descrivere la relazione tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 a cavallo tra Piano per il Sud e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non mette in conflitto gli sguardi con i punti di osservazione di “Riabitare l’Italia” (a cura di Antonio De Rossi, Donzelli 2018).
Potremmo dunque tranquillamente tenere tutto sotto l’ombrello della riduzione delle disuguaglianze e dei divari tra territori, generi e generazioni. E d’altra parte da qualunque punto di classificazione partiamo ci si rende conto che una buona parte delle marginalità si intersecano a Sud del Paese. Ovviamente non ci sfuggono le diversità e le particolarità che dovrebbero essere alla base di politiche conseguenti e coerenti alle ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione Europea e dal Fondo di Coesione e Sviluppo, oltre che dal bilancio ordinario dello Stato.
Torniamo all’analisi basata sulla classificazione di DEGURBA EUROSTAT e partiamo dall’articolazione delle tre tipologie di unità amministrative sulla base della percentuale di popolazione residente:
- Centri urbani, almeno 1500 a/km2 e con almeno 50.000 abitanti.
- Agglomerati urbani, almeno 300 a/km2 e con almeno 5000 abitanti.
- Aree rurali, aree con non rientrano nelle due categorie precedenti
Tra queste si identificano.
- Città, almeno il 50% della popolazione del Comune vive in uno i più centri urbani;
- Piccole città e sobborghi, meno del 50% della popolazione del Comune vive in un centro urbano, ma almeno il 50% della popolazione vive in agglomerato urbano;
- Aree rurali, oltre il 50% della popolazione vive in celle e griglie rurali.
Ogni classificazione può avere vantaggi e svantaggi ma ciò che ritengo interessante e cruciale sulla strada per il conseguimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 è la relazione tra “spazio e persone”, tra il suolo – il suo consumo – e l’abitare, tra tempo e vita, etc…
Come e in cosa cambierà lo spazio italiano con un saldo naturale che secondo la previsione intermedia dovrebbe registrare al 2065 meno 11,5 milioni?
Le variabili “spazio” e “persone” quanto e come incidono sull’organizzazione dei servizi e quindi sulla riduzione/crescita dei divari di cittadinanza?
Ad esempio proviamo a mettere insieme nelle aree rurali la tendenza demografica e l’investimento in scuola e sanità previsto nel PNRR. E poi come questi investimenti saranno accompagnati anche da una spesa corrente che possa garantire il funzionamento delle strutture e la erogazione dei servizi, nel pieno rispetto dell’art. 3 della Costituzione, per garantire a tutti livelli essenziali di prestazioni ed assistenza. Misuriamo questo andamento attraverso l’Agenda 2030 e in particolare con gli obiettivi del goal 3 (assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età) e del goal 4 (assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti).
Siamo davvero certi che questo esercizio sia stato davvero compiuto?
Nel rapporto ASviS 2021 la classificazione DEGURBA di EUROSTAT è stata utilizzata per valutare alcuni indici quantitativi. Per il goal 4 target 1 – entro il 2030 ridurre al di sotto della quota del 9% l’uscita precoce dal sistema istruzione formazione – e target 2 – entro il 2030 raggiungere il 50% dei laureati – nel 2020 si misurano dati migliori nelle aree rurali rispetto alle città, piccole città e sobborghi.
Bisogna continuare a rafforzare il pilastro formativo nelle aree rurali, senza dubbio.
Ma, e ribadisco il ma, se come dice Giancarlo Blangiardo, Presidente dell’ISTAT, la perdita di 4 ml di abitanti al 2040 potrebbe determinare la perdita di circa il 7% del PIL, sarà possibile, ad esempio, che domanda ed offerta di lavoro si incontrino nelle aree rurali?
E’, dunque, in questo interrogativo che corre il rischio di saltare l’intersezione tra andamento demografico e un PNRR che dovrebbe ridurre i divari tra generazioni, generi e territori. E quindi l’insidia è nel fatto che l’andamento di una percentuale potrebbe risultare adeguato ai Goal e ai target dell’Agenda 2030 ma meno rilevante nell’impatto del sistema Paese. E il danno sarebbe per tutti.
L’abbiamo già visto negli ultimi 20 anni. L’Italia ha perso terreno in Europa perché il Sud non ha dato il giusto colpo d’ala. Ed hanno perso posizioni regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna.
Il Sud è circa 20 milioni di abitanti, solo quattro stati in Europa sono più grandi. E’ due volte l’economia greca e otto volte quella croata, produce il 37% dell’energia elettrica e solo in Basilicata c’è circa il 70% dell’estrazione degli idrocarburi di tutto il Paese.
Potremmo ragionare con questo approccio anche per le aree rurali, come classificate da DEGURBA di EUROSTAT, per guardare al futuro dell’Italia camminando verso i 17 goal dell’Agenda 2030.
E quindi la domanda in conclusione è questa: si può prescindere dalla variabile del rapporto “persone/spazio” per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile per l’intero sistema Paese?
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