Le strategie territoriali alla prova del nuovo ciclo di programmazione europea
di Francesco Monaco
Il quadro delle riforme e delle opportunità di rilancio degli investimenti pubblici dopo la pandemia si va definendo con il completamento di tutte le fasi di preparazione della nuova programmazione economico- finanziaria del Paese. Nei giorni in cui si discute la legge di bilancio, infatti, il Piano di ripresa e resilienza (PNRR), collegato al Next Generation EU, è in rampa di lancio, avendo espletato tutti i connessi adempimenti che ne condizionavano l’avvio (la governance, l’attribuzione di risorse, le regole di semplificazione, ecc.): nei prossimi mesi una gragnuola di bandi o decreti di finanziamento inonderanno il territorio[1]. Così pure l’Accordo di Partenariato (AdP), che definisce il quadro strategico della politica di coesione per il ciclo 2021-2027, è in dirittura d’arrivo, corredato dai cospicui appostamenti di bilancio che rimpolpano il Fondo sviluppo e coesione (FSC), la gamba nazionale della coesione. La previsione è che l’AdP sia notificato alla Commissione nelle prossime settimane, seguìto a ruota dalle notifiche dei relativi programmi operativi (nazionali e regionali) che vi danno attuazione[2]. Mentre, per restare alla spesa in conto capitale, come ci ricorda in una recente audizione l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), rilevantissime sono le risorse con cui potranno essere finanziati interventi aggiuntivi e speciali per ridurre i divari infrastrutturali previsti nell’ambito dei diversi fondi di cui il Paese si è dotato[3].
Con l’allestimento di tutto questo apparato pianificatorio sembra siano state poste le basi non solo per provare a conseguire la transizione ecologica e digitale del nostro sistema economico ma, altresì, per dare una forte scossa per il superamento dei divari territoriali che storicamente hanno caratterizzato il nostro Paese e che ancora persistono: dal divario nord-sud a quello fra città e aree interne, senza sottacere di tutti gli altri che ormai una vivace e attenta letteratura ha messo sotto osservazione[4].
Naturalmente gli esiti di questa interessante stagione di politiche pubbliche non sono scontati.
Serviranno molte cose, tanti elementi del quadro dovranno collocarsi nel posto giusto, recuperando in parte anche il deficit di partecipazione civica, scontato forse a causa della pressione a far presto che veniva dalla crisi pandemica. Tuttavia, non è questa la sede per una disanima di questo tipo.
Quello che si può fare qui è invece un rapido affondo sulla strumentazione che probabilmente dovrà essere messa in campo per assorbire efficacemente la consistente quota di risorse che, nell’ambito dei diversi strumenti, sarà territorializzata, cioè sarà destinata a superare precipuamente quei divari di cui si diceva più sopra[5].
Fra i vari strumenti a disposizione della “territorializzazione” certamente le strategie integrate territoriali (ST) occupano un posto importante. Faccio maggiormente riferimento ai programmi della politica di coesione, dove l’uso delle strategie territoriali è espressamente prescritto, mentre non sappiamo ancora con certezza se nelle modalità di attuazione di alcune componenti del PRNN, allo stato ancora non definite, si ricorrerà a tale strumento.
Mi propongo pertanto di esaminare brevemente le ST, per come le abbiamo conosciute nel ciclo di programmazione 2024-2020, indicando alcuni elementi di prospettiva che potrebbero servire a migliorarne l’efficace per il futuro, anche in funzione di un loro uso nell’ambito dei piani e programmi in questione.
Una valutazione sulle strategie integrate territoriali del ciclo 2014-2020 della politica di coesione non può prescindere dall’esame delle loro caratteristiche strutturali e organizzative. Per disposizioni comunitarie si ricorre a tali strumenti quando è necessario intervenire in un contesto territoriale non ben definito (la definizione dell’ambito di intervento è parte rilevante della decisione strategica e non corrisponde quasi mai con i confini amministrativi del territorio target); i bisogni e i problemi di cui farsi carico riguardano settori svariati di intervento (per esempio afferenti al tema dei servizi pubblici, la creazione di occupazione, il potenziamento delle infrastrutture ecc.) da trattare però in chiave di stretta integrazione; le fonti di finanziamento degli investimenti collegati alle strategie sono plurime e, a volte, rispondenti a regole differenti di impegno e rendicontazione (nonché a diverse autorità di gestione); le strutture di governo degli interventi sono essenzialmente multilivello, investendo la responsabilità di numerosi decisori e\o di altrettanti soggetti attuatori (al netto dei casi in cui il potere di programmazione o di attuazione venga delegato a soggetti unitari, detti organismi intermedi).
Nell’esperienza italiana l’approccio place-based che ha ispirato la costruzione di strategie territoriali ha normalmente previsto il protagonismo delle autorità pubbliche locali (i Sindaci), un forte ruolo di indirizzo del centro (stato o regione, a seconda dei casi), un ricorso spinto all’uso di istituti di partecipazione civica, secondo le regole del codice di partenariato europeo.
E’ successo per il caso della Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), o per il PON Metro e gli Assi urbani dei POR, come, in parte, anche per i Gruppi di azione locale (GAL) dei programmi LEADER di sviluppo rurale.
E’ noto che nonostante la robustezza del metodo adottato, gli esiti delle strategie territoriali dello scorso ciclo di programmazione non sia stato del tutto soddisfacente. Una valutazione dovrà essere ancora fatta ma è opinione condivisa che i risultati siano stati abbastanza al di sotto delle aspettative[6].
Cosa non ha funzionato, dunque? Ovvero, dov’è che si può o si deve intervenire per migliorarne la resa nel futuro? Intanto troppo lunghi sono risultati i tempi della decisione politica e programmatica: dall’approvazione dei programmi operativi alla scelta dei territori eleggibili a strategia territoriale (sia in tema di agenda urbana che in quello di sviluppo rurale) mediamente passano tre o quattro anni, un periodo non compatibile con i tempi del ciclo programmatico, che normalmente si attesta su 6-7 anni (si fa qui riferimento ai tempi previsti per la chiusura dei programmi della politica di coesione).
A seguire, la complessità delle procedure e i tempi di attraversamento dalla fase programmatica a quella attuativa hanno amplificato le difficoltà iniziali.
Infine, il nodo dell’attuazione (codice degli appalti, regimi autorizzatori, conformità con piani, impatto su vincoli paesistici o di tutela ambientale e culturale, ecc.), su cui da sempre si confrontano le strategie di intervento complesse (come anche la realizzazione di singoli investimenti), rappresenta la cartina di tornasole su cui si riflettono tutti i limiti della nostra pubblica amministrazione.
Il rafforzamento dell’amministrazione pubblica è infatti un pre-requisito essenziale per attuare qualsiasi politica pubblica, e non solo le strategie integrate territoriali. E’ indubbio, altresì, che un maggiore coordinamento e complementarietà degli investimenti integrati cofinanziati dalla politica di coesione con l’ordinaria azione di programmazione e attuazione delle amministrazioni coinvolte (Stato, Regioni, EELL) contribuirebbe di gran lunga superare ostacoli e ritardi che ancora oggi si registrano sulle strategie territoriali.
In prospettiva futura, oltre alle necessarie azioni di semplificazione e accelerazione delle fasi di attraversamento degli interventi (dalla programmazione all’attuazione fino alla rendicontazione della spesa) sarà ancora necessario intervenire su tre elementi che compongono le strategie territoriali: a) potenziare le strutture tecniche locali, con immissione permanente di personale qualificato, per assicurare maggiore capacità istituzionale e amministrativa alle colazioni di Comuni coinvolte nelle strategie, soprattutto sul versante del project management e del monitoraggio; b) rafforzare il ruolo di indirizzo e sostegno del centro (Stato o Regione) assicurando, anche attraverso l’attivazione di centri di competenza nazionali (università, aziende pubbliche, istituti di ricerca, ecc.) il trasferimento di conoscenze e competenze di cui il territorio non dispone (dalla statistica alla scienza della terra, dal marketing all’uso dei big data, ecc.); 3) consolidare i metodi di partecipazione attiva della cittadinanza e del partenariato economico e sociale alla formazione delle decisioni strategiche e alla loro attuazione.
note
[1] Tutte le informazioni sullo stato di avanzamento del PNRR sono reperibili consultando il sito: https://italiadomani.gov.it/it/home.html [2] L’ultima versione disponibile dell’Accordo di Partenariato 21-27 è consultabile sul sito: https://opencoesione.gov.it/it/lavori_preparatori_2021_2027/ [3] L’audizione in questione ha per oggetto il federalismo fiscale e le connessioni fra questo ed il PNRR nonché gli altri strumenti di investimento aggiuntivo ad oggi disponibili cfr. https://www.upbilancio.it/audizione-sul-federalismo-fiscale-anche-con-riferimento-ai-contenuti-del-pnrr/ [4] Un’attenta disamina dei divari territoriali nel nostro Paese è contenuta, in ultimo, corredata da varie proposte si legge in: Coppola, Del Fabbro, Lanzani, Pessina, Zanfi (a cura), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Il Mulino 2021 [5] Un importante disamina delle quote di investimenti che saranno indirizzate ai Comuni e alle Città è contenuto in un dossier dell’ANCI consultabile sul sito: https://www.anci.it/comuni-e-citta-il-dossier-anci-sul-confronto-con-il-governo-e-il-monitoraggio-degli-investimenti/ mentre nell’AdP tali investimenti territoriali trovano spazio soprattutto nel nuovo obiettivo politico 5, intitolato “L’Europa dei cittadini” [6] Non è solo l’insufficiente tiraggio della spesa a segnalare le difficoltà ma, in molti casi, l’andamento degli indicatori messi a base delle politiche (si pensi i tassi di spopolamento nelle aree interne che non invertono la loro tendenza o anche gli indicatori di inquinamento dal traffico urbano che continuano a salire in molte città). Per l’andamento delle singole strategie d’area della sperimentazione SNAI si consulti il sito: https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/