Il vocabolario dei luoghi infranti
Con Emiliano Cribari, poeta fotografo e camminatore, avviamo un nuovo cammino, un viaggio lento tra le parole d’Appennino. Oggi la prima tappa.
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Ascoltare, Bordi, Casa, Distanza, Esitare, Fare, Gentilezza. Cos’hanno in comune queste sette parole? Un tepore, come una fiamma che trema. Tremano i paesi dell’Appennino imboscato. Tremano nomadi nell’inverno di chi li ha trascurati. Ognuna di queste parole è un sentiero per andare a trovarli.
Ascoltare
Di certi luoghi si può udire anche il battito del cuore. Basta appoggiarsi ad un muro, acquattarsi su un gradino, chiudere gli occhi e accordare il respiro al silenzio. Ascoltarlo significa librarsi, liberarsi, ridursi all’essenziale. Fare spazio e dire ho tempo. Qui parlano i muri e gli animali. Le persone, i panni stesi. Sussurrano i camini. C’è un richiamo, perpetuo, alla pace. Qui le storie grandinano, nutrono. Si svelano, incaute e sottovoce. Ascoltarle è un privilegio, un generoso atto d’amore.
Bordi
La vera bellezza è schiva, sfuggente. Sta ai bordi. La periferia custodisce e crea. Ospita il saggio, l’autentico. Il sacro. È lì – dove tutto finisce e inizia l’orizzonte – che arriva chi cerca.
Casa
Le case nel bosco hanno nomi che attraversano il tempo; che saltano dritti, sfumati, storpiati, da persona a persona. Le case nel bosco sanno d’alberi, di fede, di passaggi d’animali. Abitarle avvicina all’assenza dei desideri.
Distanza
Più passa il tempo, più la parola vicino è sinonimo di qui e ora, accanto a me e senza sforzo. La città è l’epicentro, il segno di penna da bucare con la punta del compasso per tracciare il cerchio più breve possibile. L’unità di misura è il supermercato. Non è conveniente chiedersi quanto distano i propri desideri, quanto è vicina (o lontana) la felicità.
Esitare
Bisogna esitare. Sentirsi precari. Abbandonare ogni certezza, lasciarsi permeare. Lo sono (piene d’acqua e di dubbi) le montagne, le colline, i territori sfregiati in cui s’annidano il silenzio e le occasioni. Per comprenderli occorre essere specchi dei luoghi. Essere nudi. Introiettarne il tremito, il fremito, il candore. Ascoltarli nel profondo, immischiandosi ai vicoli angusti del dubbio. Serve uno sguardo docile, aperto, di confine. Un’abilità da trampoliere. Esitare è un segno d’appartenenza.
Fare
… legna, fare veglia, fare entrare, fare uscire, fare a meno, fare dono, fare pace, fare spazio, fare luce, fare silenzio, fare attenzione, fare un sorriso, fare coraggio, fare un orto, fare fatica, fare niente, fare. E a volte disfare e rifare. Buone azioni da fare in assenza d’esempi.
Gentilezza
È l’arte dell’incontro. Strumento, attitudine, pertugio: una rivoluzione. Entrare in un paese è come entrare in ospedale: serve abbassare la voce, disporsi a osservare, ad accogliere, a stringere una mano. Sui nuovi margini abitano quasi esclusivamente anziani. Fucine di candore, maestri di culto e di maniera: attendono solo di scambiare una parola. Ecco allora che sorridere, ascoltare, carezzare la docile precarietà di quest’istanti, di questi luoghi, è come salvarli da un naufragio. La gentilezza sana e preserva.
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Foto di Emiliano Cribari