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Civiltà Appennino

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Pnrr, il progetto-Paese prima di tutto

di Altero Frigerio


 

La denuncia non è nuova ma l’allarme è forte: del Pnrr, dei progetti e delle riforme ad esso collegate, i cittadini cosa ne sanno? Quanto ne hanno capito? E cosa si aspettano davvero? In Parlamento l’hanno letto in pochi e l’hanno discusso per titoli in tre giorni tra Camera e Senato.

Nei cosiddetti corpi intermedi è roba da specialisti e sui media se ne parla solo per le liti tra le forze politiche. Eppure, non stiamo solo parlando delle ingenti risorse che la Ue ci ha messo a disposizione per i prossimi sei anni, con ricadute sui prossimi cinquanta. Abbiamo di fronte un processo che inciderà nel profondo sugli assetti produttivi, sociali, istituzionali del Paese. In un modo o nell’altro, il Pnrr è l’ultima chance per l’Italia per uscire dalla stagnazione ed evitare un declino irreversibile. Tuttavia, su conoscenza dei contenuti, consapevolezza della portata del Piano, partecipazione e controllo democratico siamo all’anno zero. E sbaglia di grosso chi in modo ragionieristico riduce il Pnrr alla somma degli euro in arrivo, in numero di infrastrutture da realizzare, in cantieri da aprire o si ferma ai bei titoli della digitalizzazione o della transizione ecologica.

 

La pandemia, ma già la crisi del 2008 hanno mostrato limiti, crepe, macerie del pensiero neoliberista fondato sul dogma “meno Stato e più mercato”. Chi come chi scrive non ha mai sposato bensì combattuto quei principi e le loro ricette: rigore, austerità, liberalizzazioni e privatizzazioni, con tutte le conseguenti lesioni ai diritti universali e ai beni comuni, ha visto rinascere un dibattito e una speranza. Si può, si deve tornare a discutere di intervento pubblico in economia senza timore di passare per eretici keynesiani o nostalgici bolscevichi.

 

Il terremoto “pandemia-lockdown” da un parte e Next generation Ue e il Pnrr dall’altra costituiscono l’occasione per articolare in vari settori (a partire da scuola e sanità) il presupposto di una innovativa presenza del pubblico nello sviluppo economico e nella crescita sociale dell’Italia. Mi sento di dire che le idee e le analisi ci sono, ma ad oggi scarseggiano i risultati, il dibattito non decolla, i frutti tardano a maturare. Sarebbe (meglio dire: sarebbe stata) l’occasione per un grande e partecipato dibattito democratico coinvolgendo quanti più attori possibili per definire strategie, tappe, strumenti per un diverso e davvero innovativo modello di sviluppo ed individuare le necessarie politiche che accompagnino il passaggio dal sistema economico oggi prevalente a quello futuro.

 

Le resistenze al cambiamento sono evidenti e possono essere vinte solo con una forte battaglia per innovare lavoro, investimenti, ricerca, istruzione, welfare. Invece, economisti ed editorialisti, vertici di aziende partecipate dallo Stato, ministri del governo Draghi hanno messo piombo nelle ali dell’innovazione e della transizione ecologica, ad esempio sulla produzione energetica, riesumando il cadavere del nucleare. E sul fronte lavoro, del welfare, della lotta alle diseguaglianze non si avverte alcuna novità positiva. La domanda marzulliana nasce spontanea: basta chiamare al governo Supermario e cambiare il nome ai ministeri per rispondere alle incertezze che la pandemia ha lasciato in ognuno e alle costanti domande di sicurezza sociale e di vero rilancio? O il mercato, intriso com’è di lobbies sempreverdi e globalizzazione senza freni, anche al tramonto del liberismo, riesce sempre a farla da padrone?

La crisi climatica, così come il Covid o il fenomeno delle migrazioni, ci dicono che non basta più tenere sott’occhio il Pil. C’è una richiesta, dei cittadini come del mondo produttivo, di “più Stato”, come abbiamo già sottolineato, per assicurare protezione, benessere, sicurezze varie. Da qui un’ultima considerazione di scenario. Le risorse del Pnrr servono a cambiare e ricostruire davvero il Paese o a richiamare in vita il gattopardo che in Italia ha quasi sempre prevalso? Ovvero: qual è il progetto-paese che serve mettere in campo dopo la pandemia? Senza una grande e larga partecipazione democratica, questo è il pericolo che avverto, le ingenti risorse a disposizione faranno la fine dell’acqua sulla sabbia e prevarranno i poteri che non vogliono cambiare.

Per una volta che la Commissione europea ha avuto coraggio, sarebbe bene che l’Italia mettesse in campo le sue energie migliori sul versante dell’innovazione e questo nelle condizioni attuali è un compito che tocca anzitutto al governo e a chi lo guida. Ma è anche una grande responsabilità sulle spalle dei partiti, degli amministratori locali come delle parti sociali, dell’associazionismo, del mondo della cultura, infine degli operatori dei media più interessati ai sondaggi che al futuro del Paese.

Altero Frigerio
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