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Civiltà Appennino

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La letteratura e le vocazioni dell’Appennino

di Guido Conti


 

Se Itaca esiste è perché c’è stato un Omero che ha saputo raccontarla. Itaca è diventata tale grazie al racconto e alle storie di Ulisse. Aliano, in Basilicata, è Aliano grazie al racconto di Carlo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, altrimenti sarebbe ancora un paese sperduto della Lucania, così come Itaca sarebbe un’isola tra le mille disperse nell’arcipelago greco. Senza parlare del fenomeno Camilleri che con i suoi romanzi e i film di Montalbano ha saputo trasformare l’immaginario del ragusano con tutte le conseguenze economiche e turistiche del caso. E di esempi ce ne sarebbero mille. Creare mappe, ridisegnare geografie letterarie di un territorio attraverso la sua letteratura non è un fatto banale o semplicistico, e non è solo questione di marketing, dovrebbe diventare il primo passo per costruire anche mappe politiche ed economiche, perché la letteratura custodisce l’anima di un luogo. La letteratura non è solo un passatempo, uno svago, è un modo per conoscere chi siamo. E crea immaginari. E’ una carta d’identità, è uno scrigno prezioso perché l’anima di un luogo è anche il suo futuro.

Ci sono scrittori della bassa e scrittori dell’Appennino nella mia terra. Può sembrare una distinzione forzata ma non è così. Giovannino Guareschi racconta come il cielo che si apre sopra la testa di uno che vive in pianura vicino al Po ha qualcosa di maestoso, di grande, e solo da questa terra poteva nascere la musica potente di Giuseppe Verdi.

Si va in bicicletta su gli argini (confini fisici e mentali tra il fiume e la pianura) senza fatica, mentre in collina o sull’Appennino si cammina con fatica, con un altro passo. Ed è diverso, cambia il paesaggio, l’orizzonte fisico e mentale, e cambia anche il modo di raccontare.

Penso, per esempio, ad uno dei capolavori della letteratura del Novecento, Casa d’altri di Silvio D’Arzo, ambientato nell’alta collina reggiana, dove la scrittura prende un passo lento e cadenzato, ossessivo. Luigi Malerba, nato nel bercetese, ha una scrittura diversa dagli scrittori della bassa. Non è uno stile fluente il suo come quello dell’acqua che scorre, ma a salti. Provate a leggere La scoperta dell’alfabeto, oggi ristampato da Mondadori nella collana degli Oscar, ambientato sulle colline parmigiane. C’è un altro modo di vedere il mondo, di raccontarlo, di viverlo. E’ un altro stile. Luigi Malerba è stato uno scrittore che nel libro Le parole abbandonate pubblicato da Bompiani nel 1977 ha raccolto in un vocabolario le parole perdute perché legate al mondo agricolo e alla coltivazione della terra in collina. Ha denunciato in quel modo l’abbandono dei campi e della vita dura di queste zone.

Perché vivere in Appennino non è facile e quella diaspora continua ancora oggi con tutte le conseguenze socioeconomiche del caso. Tutto questo per dire che nella letteratura c’è tutto ciò che serve per andare oltre il racconto delle difficoltà e del disagio di vivere sull’Appennino, lontano dalle grandi città, spesso dalle comodità, dai servizi.

Ho posto più volte la domanda ad amici, politici e amministratori. Perché devo andare a vivere in Appennino? Cosa ci può essere di tanto “seducente” in questi luoghi? Questi sono posti bellissimi per i fine settimana, per le seconde case, per la villeggiatura estiva, lontano dal caldo della pianura, ma viverci è un’altra cosa. Non basta esserci nati. Anche i giovani se ne vanno per non tornare più. Ma la domanda resta. Perché scegliere di vivere o tornare in Appennino? Come può essere utile la letteratura per rispondere a questa domanda? La risposta non è semplice né immediata.

Il problema è prima di tutto di comunicazione e non di storytelling. Non posso pensare di vivere in un luogo che non è “seducente”, non solo nel senso della sua bellezza. L’etimologia del termine è importante, perché se-ducere in latino vuol dire “portare a sé”, “avvicinare” con fascino e bellezza. Sui giornali è facile trovare articoli che parlano di uno stile di vita alternativo, che vivere in città è diventato impossibile tra smog, traffico e rumore. Qualche coppia lascia il lavoro in azienda e si trasferisce con tutta la famiglia in paesi semideserti alla ricerca di un contatto diverso con la natura, con ritmi di vita più sostenibili, ma sono casi rari e sono l’eccezione che conferma la regola. Ma la domanda resta, perché andare a vivere in Appennino, “lontano”, in paesi o città “difficili da raggiungere”, con sempre più disservizi legati allo spopolamento e dove vivere è complicato per tanti motivi?

Prima di fare certe scelte economiche e politiche, bisogna avere il coraggio di ritrovare la “vocazione” di un luogo. Dislocare l’industria in Appennino non vuol dire soltanto creare posti di lavoro se poi questa inquina e comporta delle ricadute sul territorio peggiori dei benefici. Non sono contro l’industria ma ci vuole un’industria o un artigianato che segua la vocazione di un luogo. Qualche anno fa la determinazione del paese di Rivanazzano e il presidio continuo dei suoi abitanti hanno impedito l’apertura di una fabbrica di smaltimento pneumatici in pieno Oltrepò pavese, terre a vocazione agricola e vitivinicola, una delle zone d’eccellenza del nostro Appennino. E’ bastata una leggerezza della politica e il risultato sono stati anni di lotta e tensioni sociali. Questa è l’industria che non vogliamo in territori sbagliati. L’altro pericolo è il fantasma di una nuova arcadia, un atteggiamento peggiore di quella dell’industrializzazione. Se non si ritrova il senso della vocazione autentica di un territorio è possibile fare scelte discutibili che possono avere conseguenze per lunghi decenni. Borgotaro con i problemi d’impatto ambientale delle sue fabbriche, ne è un buon esempio, nel bene e nel male.

In Italia esistono Appennini diversi, con vocazioni diverse, ognuno con la sua storia, la sua identità e quindi non si può fare una narrazione unica di tutto l’Appennino che attraversa l’Italia in verticale come un’ossatura. Quando in Oltrepò pavese tre anni fa ho aperto una scuola di narrazione territoriale, si ponevano tutti questi interrogativi complessi. L’invecchiamento della popolazione, l’abbandono delle terre, il bisogno di un nuovo modo di vivere e di coltivare, la trasformazione del lavoro, il turismo sostenibile, le nuove tecnologie a servizio del lavoro non solo agricolo, la creazione di nuovi immaginari e dunque di futuri possibili che sappiano equilibrare sviluppo e sostenibilità… sono tutti temi che stanno facendo ripensare ad un nuovo modo di abitare i borghi e le contrade del nostro Appennino.

Ciò che abbiamo abbandonato potrebbe diventare un tesoro su cui investire nel nostro futuro prossimo ma non bastano i servizi, gli ospedali, le corriere o i treni per attirare la gente a vivere in un territorio che malgrado tutto, resta “difficile” e in ancora in stato di continuo abbandono. E sono scelte discutibili quelle di svendere le case ad un euro per ristrutturare e riabitare il proprio paese. Si susseguono libri, saggi, interventi di economisti, sociologi e politici che raccontano forme e modi di riabitare l’Italia, s’inventano anche nuove parole come “metromontagna” per ridefinire un nuovo modo di abitare il nostro ricco e complesso paese tra città e montagna, tra le città e i propri territori. Ma chi andrà a viverci in Appennino, quali giovani, quali famiglie, con quale lavoro?

Il problema principale resta sempre quello di una letteratura che sappia rifondare un luogo, e poi sappia comunicarlo, e in questo modo determinarne il futuro attraverso azioni politiche mirate nel tempo lungo, lontano dall’interesse di parte, per una politica lungimirante e non sensibile al consenso immediato. Penso per esempio a Salsomaggiore, alle sue terme, ad un futuro che non trova da decenni uno sviluppo adeguato, con scelte spesso sbagliate. Cosa serve per un suo rilancio sempre rimandato? Resta un problema di fondi, di racconto, d’immaginario, di cosa si vuol diventare senza vivere nella decadenza del ricordo di un passato glorioso.

Rimini, invece, è l’esempio contrario, di chi sa ripensare sempre un nuovo modo di porsi al mondo senza mai tradire la propria anima.

Basterebbero questi esempi per raccontare i paradossi di un problema che si concretizza sempre nel particolare. La ricetta sembra semplice ma ogni luogo, ogni città, ogni territorio ha le sue sfide aperte. E il futuro è già qui.


credits Foto copertina  di David Mark da Pixabay
Guido Conti
Scrittore
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