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Civiltà Appennino

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Dalla Toscana alla Calabria: ricerche sulle aree interne nella diacronia

di Carlo Citter


 

Negli ultimi anni il dipartimento di scienze storiche e dei beni culturali dell’università di Siena, sotto la direzione scientifica dello scrivente, ha promosso una serie di ricerche sulle aree interne caratterizzate da un generale abbandono delle attività produttive negli ultimi decenni e in particolare di quelle connesse allo sfruttamento dei boschi, dei pascoli e degli spazi coltivabili, spesso, anche se non esclusivamente, terrazzati. In particolare ci siamo concentrati su due zone (Selvena in Toscana e Arena in Calabria) dove la continuità di molti aspetti della vita quotidiana delle comunità locali si è interrotta rispettivamente negli anni ‘60 e negli anni ‘80 del secolo scorso. Un punto certamente affascinante e al tempo stesso una sfida perché è dalla serrata sequenza di variazioni che l’archeologia ha sempre trovato la possibilità di leggere i segni del passato. In questi contesti, invece, la lunga durata di pratiche consuetudinarie, come di reti della connettività pongono problemi interpretativi di grande peso storiografico.

A Selvena l’attuale distribuzione della popolazione per nuclei e famiglie non sembra un evento recente, ma almeno evidente dal XVII secolo quando molte di queste famiglie sono già attestate nella documentazione (fig.1). E a ben vedere la prima menzione di Selvena nel IX secolo con un fundus, casale e vicus sembra proprio echeggiare un’antichissima distribuzione della popolazione funzionale forse ad una gestione ottimale delle risorse che in questo contesto non sono solo agricole e silvo-pastorali (fig.2). Ai piedi del castello infatti è la più grande miniera europea di cinabro da cui si estrae il mercurio che fin dalla Protostoria era usato come colorante. Anche la rete della connettività mostra una sovrapposizione di lunga durata e in particolare un percorso che da Sovana giunge all’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata (fig.3).

Ad Arena emerge come elemento di primario rilievo un sistema di gestione comunitario delle acque che partendo dalle sorgenti in quota oltre i 1000 m slm attraverso le “prise” (forse dal Francese prise d’eau), dei canali scavati nella terra che vengono gestiti dall’intera comunità di piccoli proprietari che ne fruisce a valle (fig.4). Ciascuno ha poi una derivazione privata per irrigare i propri terreni in estate per ortaggi. L’acqua viene conservata in grosse vasche anch’esse in terra che nel dialetto locale si chiamano gebbie (dall’arabo Jābiya che significa vasca – fig.5) e anche l’acquisto di un appezzamento di terra prevede il diritto di uso dell’acqua. Si tratta di un sistema ramificato che consentiva di irrigare i pianori e i terrazzi sottostanti per lasciare poi defluire l’acqua di nuovo nei torrenti che alimentavano numerosi mulini. Un sistema ancora tutto da studiare sia nella sua reale estensione che nella cronologia. Allo stesso modo anche la connettività che dal castello, centro di un vasto feudo in età moderna, si diparte in tutte le direzioni con ponti in pietra sembra avere una cronologia di lunghissima durata (fig.6).


 

Citter C., “Connettività e insediamenti nella lunga durata. Alcuni casi di studio dalla Toscana e dalla Calabria fra tardo medioevo ed età contemporanea”, Archeologia Postmedievale XXIV (2020), c.s.

Carlo Citter
Docente Scienze dell'antichita', filologico-letterarie e storico-artistiche - Università degli studi di Siena
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