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Civiltà Appennino

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“Appennino. Economie, culture e spazi sociali dal medioevo all’età contemporanea” nel libro di Ciuffetti

di Piero Lacorazza

L’articolo di Augusto Ciuffetti, pubblicato sabato 2 gennaio su queste pagine, è una sintesi del suo pensiero, interessante e profondo, che è possibile trovare, in maniera più ricercata ed articolata, nel suo libro Appennino. Economie, culture e spazi sociali dal medioevo all’età contemporanea (Carocci editore, Roma 2019, pp. 300)

“…Basta un terremoto – scrive Giuseppe Lupo in Civiltà Appennino (Donzelli, 2020) – e non solo il paesaggio, ma anche l’antropologia cambia, gli antichi borghi cessano di esistere, di essi rimangono solo le memorie che però sono il lievito del futuro…”

E appunto il volume di Ciuffetti nasce da una serie di incontri tenuti dall’autore in diverse località dell’Appennino marchigiano dopo il terremoto che tra il 2016 e il 2017 ha colpito l’Italia centrale. Questi incontri, molto partecipati e caratterizzati da dibattiti intensi e profondi, sono nati da una precisa esigenza: rileggere e riscoprire la storia di questi territori interni e montani posti di fronte ad una catastrofe di ampie proporzioni, con la consapevolezza che solo dalla conoscenza del passato possano arrivare validi e saldi punti di riferimento per percorsi di rinascita funzionali a tante piccole e più grandi comunità lacerate al loro interno.

In tal senso, il volume vuole essere anche un valido strumento di lavoro per tutti coloro che a diversi livelli decisionali si occupano di progetti per il futuro della dorsale appenninica.

Ciuffetti pone la necessità non solo di un’inedita riflessione sull’economia della dorsale appenninica dell’Italia centrale svincolata da ipotesi consolidate e capace di reinterpretare in chiave storia il significato di risorsa, ma anche di spingere l’osservazione fino al Medioevo, quando si definiscono le basi stesse di questo territorio, nella dimensione di una vera e propria civiltà.

Un’analisi che percorre secoli di storia rendendo evidente la “centralità” dell’Appennino che inizia a spopolarsi solo nel corso del Novecento, a partire dalla fine degli anni Venti, più tardi rispetto a quanto avviene nelle Alpi, ma con delle modalità ancora in grado di preservare gli equilibri interni di ogni singolo territorio È in questa fase che si apre il terzo tempo della storia delle montagne dell’Italia centrale, quando giungono a maturazione processi già avviati alla fine del secolo precedente. Il consolidarsi del mercato nazionale e il primo decollo industriale, insieme a una più capillare diffusione delle logiche del capitalismo, rendono improvvisamente obsoleti i piccoli opifici montani. L’attenuarsi delle pratiche riconducibili alla pluriattività contadina e l’inizio dei flussi migratori transoceanici, che progressivamente si sostituiscono a quelle migrazioni stagionali tipiche degli Appennini e funzionali al mantenimento dei loro equilibri, decretano l’inizio di un processo di marginalizzazione sempre più evidente. La spia di tutto ciò è il progressivo spopolamento di queste aree, che assume i connotati di un vero e proprio esodo negli anni del miracolo economico del secondo dopoguerra.

Questa analisi, quindi, evidenzia la “centralità” dell’Appennino per tutta l’età industriale e consegna una riflessione di fronte alla crisi della società contemporanea sull’attualità di pensare a forme alternative, non subalterne, di gestione dei territori, attraverso pratiche economiche più attente alla salvaguardia dell’ambiente e capaci di rinnovare tradizioni, usi e costumi che provengono dalla sua storia. Vi è la consapevolezza che intorno a questo nuovo sguardo non si possa rinunciare ad innovare, essere in rete e far lievitare diritti di cittadinanza partecipando e contribuendo ad una crescita più giusta e equilibrata dell’intero Paese. Anzi la ripresa e la resilienza dell’Italia presuppongo proprio questa inversione di paradigma.

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