Restanti alla riscossa
di Maurizio Dematteis
Il 29 gennaio del 2019 nel Monastero di Camaldoli, nel cuore del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, erano in tanti a lavorare alla realizzazione del “Manifesto per una nuova centralità della montagna”, praticamente tutte quelle realtà che non si sono mai rassegnate al definitivo abbandono delle terre alte italiane. Coordinati da Giuseppe Dematteis (presidente dell’Associazione Dislivelli) e Alberto Magnaghi (Società dei Territorialiste/i), i partecipanti erano tutti concordi nel sottolineare come l’attuale periodo storico abbia ormai messo in discussione il modello centro-egemone v/s periferia-marginale, e sul fatto che sia giunta l’ora di rivalutare le aree interne come territori in cui è possibile vivere, lavorare e condurre una vita soddisfacente.
Tutto nasce dall’attuale crisi dell’urbanità, soprattutto dalla disillusione delle persone nei confronti delle opportunità offerte dalle città, che apre nuove prospettive per aree interne e zone montane. La gente dopo tanti anni vissuti pericolosamente e di corsa si ferma per un istante, si gira indietro, verso le montagne, e vede finalmente un sacco di opportunità nuove, prospettive future, possibilità di concretizzare sogni fino a pochi anni fa impossibili anche solo da immaginare. E allora nascono il “Manifesto di Camaldoli”, il “Manifesto Riabitare l’Italia” e ancora quello di “Assisi” sulla Green economy. Associazionismo, intellighenzia accademica e amministratori illuminati si uniscono per preparare il terreno del grande ritorno, del nuovo rinascimento delle montagne.
Ma le persone che si girano finalmente a guardare le alture all’orizzonte, in realtà cosa vedono? Più che la montagna si trovano davanti a “le montagne”, una vasta gamma di situazioni differenti, che il dossier “Le montagne del Piemonte” (a cura di Ires Piemonte e Associazione Dislivelli) riassume in tre differenti situazioni (adattabili all’intera montagna italiana): i “distretti turistici”; la “montagna interna”; la “montagna integrata”. Mentre la prima è oggi ostaggio della crisi dell’industria della neve, e la seconda resta perennemente in bilico tra spopolamento e nuovi e isolati progetti pioneristici, è la terza, quella dalla “montagna integrata”, che può far scoppiare la scintilla del cambiamento. Si tratta di paesi di media grandezza o cittadine “porte urbane di valle” in grado di offrire una gamma completa di servizi alla popolazione, spesso collocate in prossimità di centri urbani di pianura, o a metà di una valle, ma ben collegati con l’avampaese. E’ la parte della montagna che, se riuscirà a risollevarsi, potrà irradiare anche la montagna interna, e aiutare i distretti turistici a cambiare rotta da un turismo di tipo industriale ad uno di tipo più artigianale, esperienziale, dolce, più incline ad adattarsi ai capricci del meteo, ad aderire ai cambiamenti di esigenze degli ospiti e a scovare strade sostenibili per la montagna e per l’intero pianeta Terra.
Eppure si sa, come sempre accade, non si può fare la rivoluzione a parole, senza sporcarsi le mani, e allora la domanda è la seguente: chi sono oggi gli attori della montagna? Chi sono i pionieri, le “avanguardie agenti”, per usare la figura efficace suggerita dal sociologo Aldo Bonomi, capaci di vedere la montagna con occhi nuovi, crederci, gettare il cuore oltre l’ostacolo e invertire il paradigma centro-egemone v/s periferia-marginale?
Federica Corrado, responsabile ricerca dell’Associazione Dislivelli, nel volume “Il governo del territorio montano nello spazio europeo” (a cura di Gianluca Cepollaro e Bruno Zanon, Edizioni Ets 2020) propone una classificazione interessante: in montagna esiste il “consumatore estetico”, il “turista di territorio” e “l’abitante urbanizzato”. I primi sono i frequentatori delle stazioni ski total, una specie destinata ad estinguersi. I secondi sono invece quelli che prenderanno il posto dei primi, “una timida figura che sta silenziosamente prendendosi i suoi spazi – spiega la Corrado – diventando il protagonista di una rapporto ospite-abitante che permette di scoprire i tratti più genuini, anche un po’ nascosti e di grande fascino della montagna”; praticamente degli “alleati” dei residenti della montagna, frequentatori saltuari, che propongono a loro volta nuove forme di residenzialità, cercando poco alla volta di passare settimane, a volte mesi senza scendere in pianura, insomma, restare il maggior tempo possibile in montagna, come spiega bene Luca Mercalli nel suo nuovo libro “Salire in Montagna” (Einaudi, 2020). Poi c’è l’abitante urbanizzato, il residente, che qualcuno si ostina a chiamare “resiliente”, ma che in realtà non è altro che colui che ha preso coscienza del fatto che in montagna si può vivere come “residenti urbani”, scartando ciò che della città è fallimentare. Ed è questo il vero protagonista della rivoluzione copernicana.
Tra gli abitanti urbanizzati poi, la categoria più importante per il futuro della montagna è quella dei “giovani restanti”, cioè dei ragazzi nati nelle terre alte che non rinunciano ai loro sogni ma decidono di realizzarli sul proprio territorio.
Sono persone globalizzate, abituate a viaggiare e tenere reti lunghe, molto oltre la loro valle o regione, che spesso fanno esperienze formative in città italiane o estere, ma decidono di non abbandonare il luogo natio, dove tornano per realizzare i loro sogni. Sono loro che hanno permesso alla montagna urbanizzata di mantenere un minimo di servizi: la scuola, la sanità, le biblioteche, il trasporto pubblico, i bar e tutto il resto. E sono loro i protagonisti del futuro, quelli che vivranno e vedranno l’agognata trasformazione delle aree interne, se mai arriverà. Ma nonostante questo sono anche gli attori sociali che solitamente hanno meno voce in capitolo, non vengono ascoltati, ne hanno l’opportunità di influire sulle scelte future del territorio.
Per questo motivo la nostra associazione Dislivelli, insieme agli amici dell’Associazione Kosmoki della Valle Stura, alla Cooperativa Cramars di Tolmezzo in Carnia e al Gal dei Monti Sicani in Sicilia, e con l’appoggio della Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), ha deciso di creare la Rete Italiana dei Giovani Facilitatori della Aree Interne (RIFAI), unendo simbolicamente l’Italia “dell’osso” da ovest, a est, a sud dello Stivale.
I primi passi di RIFAI sono la creazione di un Manifesto, a cui potranno poi aderire i gruppi giovanili interessati di tutte le aree interne nazionali, e formulare una serie di proposte, da sottoporre al Ministro Giuseppe Provenzano nel corso di un incontro in preparazione, con l’aiuto della SNAI, per la primavera del prossimo anno. In modo da portare ai “decisori” la voce dei giovani delle aree interne e orientare le future decisioni strategiche, anche in vista dell’utilizzo delle risorse del Next generation EU, parte delle quali verranno destinate proprio a progetti di sviluppo nelle aree interne del nostro Paese.
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