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Civiltà Appennino

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Appennino come Medio Occidente

Di Giuseppe Lupo
(tratto da Civiltà Appennino – L’Italia verticale tra identità e rappresentazioni – Donzelli Editore, Roma 2020)

Una civiltà si riconosce misurandola dai confini. Così è stato per il Mediterraneo, che fino all’inizio dell’età moderna ha goduto di una propria identità in relazione all’essere circoscritto dentro un orizzonte che dallo stretto di Gibilterra si espandeva alla Mesopotamia. Così è stato anche per l’Occidente che terminava, da una parte, in un deserto di acqua (l’Atlantico) e, dall’altra, in un deserto di sabbia, quello da cui venivano i Magi. I problemi sono cominciati quando l’orizzonte si è dilatato al di là del Portogallo (in direzione ovest con il viaggio di Cristoforo Colombo) e, al suo opposto, oltre la favolosa città di Babilonia (in direzione est, con il viaggio di Marco Polo). Mentre quest’ultimo, spostando le bandiere veneziane nella lontanissima Cina, ha individuato un Estremo Oriente e, indirettamente, determinato la nascita di un Medio Oriente, la navigazione di Colombo verso le Indie occidentali (costruita sulla falsariga dell’impresa dell’Ulisse dantesco) ha lasciato non conclusa la possibilità di individuare un Medio Occidente.

Guardando dalla parte del sole che nasce, abbiamo una gradazione nella distanza e dunque una declinazione più dettagliata del concetto di Oriente: da quello più ravvicinato (che interessa quelle zone antiche che la tradizione culturale ci ha portati a identificare come Medio Oriente: paesi arabi e caucasici, territori poco oltre la fine del Mediterraneo). Lo stesso non avviene osservando il sole che tramonta: è tutto Occidente, dalla direttrice Trieste-Monaco-Praga fino a Los Angeles. Una ragione di questa mancanza potrebbe nascondersi nelle diverse modalità in cui l’estremo Oriente e l’estremo Occidente sono entrati in contatto con il Vecchio Mondo. L’arrivo degli europei in Cina, infatti, è avvenuto senza una vera e propria colonizzazione e ciò probabilmente ha scongiurato il pericolo di considerare i territori del regno di Kublai Khan (l’imperatore dei Tartari, secondo Italo Calvino) un’estensione dell’Europa. Non così per le Americhe, su cui l’Occidente europeo ha esercitato un’azione di conquista, espandendo (e dunque dilatandone il raggio di influenza) lingua, religione, leggi, tradizioni culturali e antropologia.

Al di là delle infinite sovrapposizioni (molte delle quali diventate ormai coincidenti soprattutto grazie alla globalizzazione), non tutto l’Occidente può sentirsi coperto sotto uno stesso ombrello e di sicuro, anche a occhio nudo, la matrice di occidentale è una definizione che quasi mai è in grado di accontentare una latitudine talmente vasta da includere città come Praga e New York, Parigi e Chicago, Lisbona e San Francisco, Londra e Dallas. Qualcosa sfugge a questa semplificazione geografica. Qualcosa obbliga a ripensare che, se esiste un Medio Oriente, da qualche parte dovrà pur esserci un Medio Occidente, insospettabile nelle sue ambiguità ma necessario alla lettura della parte di mondo in cui siamo nati, magari confuso nelle lingue, magari magmatico nelle frontiere, tuttavia insostituibile nel ritrovamento di un’identità che ora più che mai avverte il bisogno di fare un passo indietro rispetto all’Atlantico, scendere un gradino sotto Manhattan e trovare il punto di equilibrio tra New York e Gerusalemme, Instabul e Gibilterra, Oslo e Tangeri. Questo luogo, che non sarebbe sbagliato intuire come un Occidente anomalo – a o anti che sia -, potrebbe essere un non occidente dentro l’Occidente, un Medio Occidente.

Il termine non è ancora entrato nei circuiti del linguaggio comune o in quelli della geopolitica, eppure potrebbe indicare, oltre che un luogo geografico, una serie di suggestioni culturali, storiche, antropologiche attraverso cui circoscrivere una maniera di essere occidentali dentro un occidente in crisi di identità. Da un punto di vista geografico, è una linea mediana che separa e integra la nozione di Occidente e quella di Oriente/Medio Oriente, indica cioè un Oriente non ancora occidentalizzato e/o un Occidente rimasto ancora un poco orientale. Quest’asse verticale si può riconoscere nell’Appennino italiano: un ponte tra la Mitteleuropa e il Mediterraneo, un luogo di addizioni (dove nei secoli si sono stratificate le reliquie del mondo occidentale: Ebrei, Greci, Bizantini, Arabi, Albanesi, Normanni-Vichinghi, Svevi, Angioni, Aragonesi, Spagnoli), una terra dove le nozioni di Storia e Tempo si declinano in forma di dialogo e scontro, di concretezza e lentezza, di sacralità e di etica.

Giuseppe Lupo
E' nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna all’Università Cattolica di Milano e Brescia. Ha al suo attivo numerosi romanzi, tutti pubblicati da Marsilio, tra cui: L’americano di Celenne (2000; premio Giuseppe Berto e premio Mondello), L’ultima sposa di Palmira (2011; premio Selezione Campiello e Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; premio Giuseppe Dessì), L’albero di stanze (2015; premio Alassio-Centolibri e premio Frontino Montefeltro), Gli anni del nostro incanto (2017; premio Viareggio-Rèpaci) e Breve storia del mio silenzio (2019). È autore di numerosi saggi, dedicati alle suggestioni del moderno e alla letteratura industriale. Collabora alle pagine culturali del «Sole 24 Ore», dirige la rivista «Studi Novecenteschi» e la collana «Novecento.0» di Hacca editore.
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