Coronavirus e geografie in dialogo
Sembra che in pochi giorni abbiamo superato il passaggio a livello ritrovandoci a Frittole, quell’immaginario borgo toscano, “nel Mille e quattrocento quasi Mille e cinque” in cui a Saverio e Mario, Roberto Benigni e Massimo Troisi, “non resta che piangere”.
Il Coronavirus ha rallentanto la corsa, ammansito l’attimo fuggente, addomesticato la frenesia di una modernità nella quale la lentezza oggi è una terapia, invece ieri, proprio l’altro giorno, era icona dell’abbandono, ritmo del margine.
Per utilizzare le parole di Giuseppe Lupo in “Civiltà Appennino” anche il virus ci considera “Medio Occidente”, una linea mediana che sembra tenere insieme la Cina di Marco Polo e le Americhe di Colombo. “Ci sentiamo un Oriente non ancora occidentalizzato e/o un Occidente ancora poco orientale.”
“… La collina e la montagna sono invece i luoghi della ricerca del metafisico, del silenzio che spinge la mente a riflettere sul senso dell’esistenza, sull’autenticità e sulla superficialità, su valori e disvalori e, cosa più importante, sulla vita oltre la vita”. Raffaele Nigro in “Civiltà Appennino” descrive quella che oggi potremmo definire una quarantena in tempi normali.
Ecco perchè le parole di Giuseppe Lupo e Raffaele Nigro viaggiano sulle ali dell’attualità e, inevitabilmente, accompagneranno mutamenti di modelli, relazioni, comportamenti singoli e di comunità. Questo virus è una crisi con effetti imponderabili perchè è un altro colpo alle megnifiche sorti e progressive di una modernità senza anima.
E forse, almeno questi lunghi giorni di smarrimento, ci serviranno a comprendere che la modernità necessita di “rifugi” fisici ed ideali, e che oltre le storia e le storie, le geografie devono resistere e dialogare sempre. Oltre il Coronavirus!
Piero Lacorazza
(ph: https://it.wikipedia.org/wiki/Non_ci_resta_che_piangere#/media/File:Non_ci_resta_che_piangere.png)