“Spolpamento” programmato?
Lo “spopolamento programmato”, è questa la strada per evitare di sprecare risorse per le aree interne il cui destino sarebbe legato alle attività turistiche e ricreative. È quanto afferma il prof. Donato Iacobucci, docente di Economia alla Politecnica delle Marche, in un articolo apparso il 30 giugno scorso sul corriereadriatico.it dal titolo “Spopolamento programmato e l’economia delle aree interne”, in cui sostiene anche che “il modello di economia dell’Appennino è un sistema di insediamenti funzionale ad un’economia basata sull’agricoltura e sulle attività silvo–pastorali…”.
Partiamo da un punto: le tendenze demografiche sono chiare per i prossimi decenni. Ne abbiamo parlato con chiarezza anche in questo magazine; siamo con i piedi per terra e constatiamo che siamo dentro la insostenibilità di un modello di sviluppo che se non cambia metterà tutti in grande difficoltà.
I soldi si investono dove c’è gente; questa sarebbe la traccia sviluppata dal prof. Iacobucci.
Innanzitutto se crollano – nel senso sia metaforico che reale – le montagne, le aree interne, le Alpi e gli Appennini i lapilli soffocheranno le città che in questi decenni non mi pare siano state all’altezza di dare qualità della vita ai propri abitanti. L’Italia, se vuol tirarsi su, deve trovare un punto di equilibrio tra persone e territori.
“Nella aree interne non si possono garantire complesse operazioni chirurgiche” e – continuando a citare – “una scuola elementare con pochi alunni non ha solo un costo maggiore per alunno ma determina anche un peggioramento della qualità del processo educativo”.
Con molto rispetto, sono affermazioni ovvie sparate in aria. E seguendo la traccia dell’ovvietà mi verrebbe da chiedere: se 15/20 milioni di nuovi abitanti si catapultassero nelle città italiane? Tutto ok per le politiche abitative? Per asili nido, mobilità, sanità, scuole, etc, etc? Potremmo davvero parlare di benessere equo e sostenibile?
Non vorrei – spero di essere smentito – che lo “spopolamento programmato” sia la foglia di fico per pulire quel poco di sana polpa rimasta intorno all’osso e di fare incetta di tutte le risorse che nei prossimi anni piomberanno in Italia attraverso il PNRR e altri canali di finanziamento.
Ma chi ha mai pensato di garantire nelle aree interne complesse operazioni chirurgiche? E perché per vivere nelle aree interne devi aspirare, con tutta la scaramanzia del caso, a tanto bene?
E se proprio dovesse accadere qualche accidente della vita non puoi farti l’operazione e tornartene a casa tua? E a casa tua o a pochi passi da dove risiedi non puoi avere strutture riabilitative che seguono protocolli di qualità oppure cura, assistenza e gestione dell’emergenza-urgenza di buon livello?
Nell’articolo si afferma che la tecnologia può aiutare una transazione finanziaria in un’area interna, non altro! E quindi la sanità del territorio, la telemedicina, l’organizzazione di modelli duttili ed adattabili non sono “impiantabili” in territori dalle cosiddette attività “silvo–pastorali”?
Ma la stessa agricoltura di precisione o la sfida di declinare nelle aree interne genuinità, tracciabilità e sostenibilità non vanno a braccetto con tecnologia?
Prendiamo anche il tema della scuola. Ma chi ha mai pensato ad un istituto con cinque/dieci bambini? Non torno su questo punto perché ne ho ampiamente parlato sempre su questo magazine nel mio ultimo articolo. https://www.civiltaappennino.it/2021/05/19/torna-a-scuola-appennino/
I nodi sono: quale Paese e futuro vogliamo e quali indicatori scegliamo per compiere e orientare investimenti e vita.
Altro tema affrontato dal prof. Iacobucci è la “densità compatibile”.
Come si definiscono i livelli di densità compatibili? E soprattutto chi li definisce?
Per assurdo potremmo arrivare a dire che il numero degli asili nido in una città è inferiore alla domanda – non parliamo di qualità e costi!!! – e quindi andrebbe programmato un esodo verso le campagne. Oppure la quantità di emissioni di Co2 è tale che risulta insufficiente il blocco domenicale; sarebbe opportuno procedere ad operazioni strutturali riducendo la densità della popolazione ed invitarla a risiedere in aree interne.
La provocazione è tale perché previene una risposta ovvia: più investimenti per asili nido e mobilità sostenibile.
E siamo al punto: mettere i quattrini per rendere compatibili – e magari aumentarli con lo “spopolamento programmato” dalle aree interne – gli attuali indici e parametri di densità. E cosi i soldi rincorrono le persone, le persone si spostano nelle città e nelle città si spende, si spende, si spende. Un bel circolo “virtuoso”, non credete?
È chiaro che il costo di un servizio nelle aree interne è maggiore. Per non scomodare la nostra Costituzione e intrattenermi con discettazioni su teorie economiche decadenti mi appello al buon senso di chi dovrebbe valutare che il già fragile equilibrio del nostro ecosistema resiste grazie alla montagna, alla collina alta, alle Alpi e agli Appennini.
Il maggior costo del servizio nelle aree interne è un investimento anche sulle città.
Il concetto è semplice ma difficilmente passa quando in testa più che lo “spopolamento” si ha lo “spolpamento programmato”.
Credits foto copertina di Goran Horvat da Pixabay
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